
Contrariamente a quanto si crede, il “cloud” non è una nuvola eterea ma un’imponente infrastruttura fisica con un peso, un costo energetico e confini territoriali che determinano il destino dei nostri dati.
- Ogni servizio digitale, dallo streaming alle foto, si basa su data center reali che consumano enormi quantità di energia e acqua.
- La posizione geografica di questi data center e dei cavi sottomarini che li collegano è al centro di complesse dinamiche geopolitiche.
Raccomandazione: Diventare un utente consapevole significa comprendere questa “materialità digitale” per fare scelte più informate su quali servizi utilizzare e come proteggere i propri dati.
Ogni volta che carichiamo una foto sui social, salviamo un documento su Google Drive o guardiamo una serie su Netflix, compiamo un gesto diventato quasi istintivo. Affidiamo i nostri dati a una “nuvola”, un’entità che immaginiamo come immateriale, infinita e sempre disponibile. Questa percezione, comoda e rassicurante, nasconde però una realtà ben diversa e molto più concreta. Il cloud non è etereo; è un’infrastruttura globale fatta di acciaio, silicio e fibra di vetro, con un appetito energetico colossale e profonde implicazioni geopolitiche.
L’idea comune è che il digitale sia pulito, un’alternativa smaterializzata al mondo fisico. Ma se la vera chiave per comprendere il nostro presente non fosse continuare a pensare in termini di “virtuale”, ma svelare la sua imponente e nascosta “materialità digitale”? Questo articolo si propone come un reportage investigativo, un viaggio dietro le quinte del nostro mondo connesso. Andremo a scoprire dove finiscono davvero le nostre foto, esploreremo le autostrade sottomarine dell’informazione e analizzeremo il “metabolismo energetico” di Internet. L’obiettivo non è demonizzare la tecnologia, ma fornire gli strumenti per diventare cittadini digitali più consapevoli, capaci di comprendere il peso fisico, l’impatto ambientale e la dimensione politica che si celano dietro ogni singolo click.
Per chi preferisce un’immersione visiva che riassume i concetti chiave di questo viaggio, il video seguente offre una sintesi efficace e diretta su ciò che spesso ignoriamo riguardo al funzionamento di Internet.
In questo approfondimento, seguiremo il percorso fisico dei nostri dati per svelare l’infrastruttura che rende possibile la nostra vita digitale. Ecco le tappe del nostro viaggio:
Sommario: Il viaggio dei dati, dalla nuvola al fondale marino
- “Ma dove vanno a finire le mie foto?”: una spiegazione semplice di cos’è davvero il cloud
- L’impronta ecologica del tuo streaming: la verità sul consumo energetico di Internet
- I tuoi dati sono a Francoforte o in Virginia? Perché la geografia del cloud è una questione politica che ti riguarda
- Il cloud non è eterno: l’errore di affidare tutti i tuoi ricordi a un solo servizio online
- Scegliere la nuvola giusta per te: Google Drive, iCloud o Dropbox? Un confronto basato su ciò che conta davvero
- “Tanto io non sono in Europa”: perché il GDPR riguarda anche te e perché rispettarlo ti farà apparire più professionale
- La caccia agli spifferi: come fare un check-up energetico della tua casa con meno di 50 euro
- GDPR senza panico: come trasformare l’obbligo sulla privacy in un’opportunità per guadagnare la fiducia dei clienti
“Ma dove vanno a finire le mie foto?”: una spiegazione semplice di cos’è davvero il cloud
Quando carichi una foto “nel cloud”, non la stai inviando in un limbo etereo. La stai salvando fisicamente su un computer, o più precisamente su una serie di computer potentissimi chiamati server. Questi server sono ospitati in edifici enormi, sorvegliati e climatizzati, noti come data center. Queste non sono altro che le “case” dei nostri dati: magazzini digitali sparsi in tutto il mondo, di proprietà di aziende come Google, Amazon, Microsoft o Apple. Il termine “cloud” si riferisce semplicemente a questa rete globale di data center interconnessi, accessibile tramite Internet.
La magia del cloud risiede nella sua apparente invisibilità e onnipresenza, resa possibile da due principi chiave: la ridondanza e l’accessibilità. Per garantire che i tuoi dati non vadano mai persi, anche in caso di guasto di un disco rigido, questi non vengono salvati in un unico posto. Al contrario, secondo una spiegazione dettagliata sul cloud computing, oltre il 99% dei dati sono replicati su più dischi e spesso anche in più data center situati in diverse località geografiche. Questo processo di replicazione è ciò che ti permette di accedere alla tua foto da qualsiasi dispositivo, in qualsiasi parte del mondo, con la quasi certezza che sarà sempre lì ad aspettarti.
Questa infrastruttura, per quanto complessa, non è autonoma. Come sottolinea un esperto del settore, è fondamentale comprendere la sua materialità.
Il cloud non è immateriale: ogni dato passa fisicamente attraverso infrastrutture reali e persone che le gestiscono.
– Esperto di Cloud Computing su Datamasters, Datamasters.it, 2024
Ci sono tecnici che monitorano, riparano e sostituiscono hardware 24 ore su 24, ingegneri che gestiscono il flusso di dati e sistemi di sicurezza che proteggono fisicamente questi edifici. Comprendere questo significa passare dall’idea di una “nuvola” a quella di un servizio industriale globale.
L’impronta ecologica del tuo streaming: la verità sul consumo energetico di Internet
Ogni nostra azione online, dallo streaming di un film all’invio di una email, ha un costo energetico. I data center che ospitano i nostri dati sono strutture energivore: necessitano di enormi quantità di elettricità non solo per alimentare milioni di server, ma anche per far funzionare i potenti sistemi di raffreddamento che impediscono il surriscaldamento delle macchine. Si stima che i data center globali rappresentino circa l’1-2% del consumo energetico mondiale, una cifra in costante crescita spinta dalla domanda di intelligenza artificiale e servizi digitali.
Ma l’impronta ecologica non si limita all’elettricità. Un aspetto spesso trascurato è l’enorme consumo di acqua. I sistemi di raffreddamento evaporativo, tra i più comuni, utilizzano l’acqua per abbassare la temperatura interna. Questo ha un impatto idrico significativo, specialmente in regioni già soggette a siccità. Per dare un’idea della scala, un approfondimento sull’impatto idrico dei data center riporta che solo negli Stati Uniti sono stati consumati 283,9 miliardi di litri d’acqua nel 2023. È una quantità d’acqua sufficiente a riempire migliaia di piscine olimpioniche.
Questo “metabolismo energetico” di Internet è una delle principali sfide per la sostenibilità futura. Come evidenziato in un rapporto delle Nazioni Unite, la traiettoria attuale dei consumi è preoccupante.
I data center sono responsabili di una significativa impronta ecologica, non solo energetica ma anche idrica.
– Rapporto ONU sui consumi energetici dei data center, Corriere Comunicazioni, 2024

La crescente consapevolezza di questo problema sta spingendo le grandi aziende tecnologiche a investire in energie rinnovabili e in data center più efficienti, posizionandoli in climi più freddi per ridurre la necessità di raffreddamento artificiale o utilizzando sistemi di raffreddamento ad acqua in circuito chiuso. Tuttavia, la responsabilità ricade anche su di noi: un uso più consapevole dei servizi digitali, come ridurre la qualità dello streaming video quando non necessario o eliminare file inutili dal cloud, può contribuire, nel suo piccolo, a mitigare l’impatto complessivo.
I tuoi dati sono a Francoforte o in Virginia? Perché la geografia del cloud è una questione politica che ti riguarda
I data center non sono distribuiti casualmente sul globo. La loro posizione è il risultato di precise strategie economiche, logistiche e, soprattutto, politiche. Fattori come il costo dell’energia, la stabilità politica, la connettività di rete e le leggi sulla privacy determinano dove le grandi aziende decidono di costruire queste cattedrali digitali. Di conseguenza, i nostri dati personali non risiedono in uno spazio neutrale, ma in un “territorio digitale” ben definito, soggetto alle leggi e alla giurisdizione di una nazione specifica.
Questa geopolitica dei dati è cruciale perché le leggi sulla protezione dei dati variano enormemente da un paese all’altro. Ad esempio, i dati ospitati in un data center a Francoforte, in Germania, sono protetti dal GDPR (Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati) dell’Unione Europea, una delle normative più severe al mondo. Gli stessi dati, se archiviati in Virginia, negli Stati Uniti, sarebbero soggetti a leggi diverse, come il CLOUD Act, che consente alle autorità statunitensi di richiedere l’accesso ai dati anche se archiviati all’estero. La scelta del luogo fisico di archiviazione, quindi, ha implicazioni dirette sulla nostra privacy e sicurezza.
Il fondamento fisico di questa geografia digitale è una rete di centinaia di cavi sottomarini in fibra ottica che attraversano gli oceani, collegando i continenti. Questa è la vera spina dorsale di Internet. Secondo uno studio recente, oltre il 95% del traffico Internet mondiale viaggia attraverso questi cavi. Chi controlla questi cavi, o i punti in cui approdano sulla terraferma (“landing stations”), ha un potere strategico immenso, potendo potenzialmente intercettare, monitorare o persino interrompere il flusso globale di informazioni. Non a caso, la posa di nuovi cavi e il controllo delle rotte esistenti sono diventati un nuovo fronte di competizione geopolitica tra superpotenze come Stati Uniti e Cina.

Come afferma l’esperto Serafino Sorrenti, la “sovranità dei cavi” è diventata una questione di sicurezza nazionale.
Chi controlla i cavi sottomarini detiene di fatto il potere di accedere a informazioni strategiche.
– Serafino Sorrenti, LinkedIn, 2025
La prossima volta che accederai ai tuoi file, chiediti: in quale paese si trovano in questo momento? Sotto quali leggi sono protetti? La risposta a queste domande è molto meno virtuale di quanto si pensi.
Il cloud non è eterno: l’errore di affidare tutti i tuoi ricordi a un solo servizio online
Nonostante le misure di ridondanza e sicurezza, il cloud non è infallibile né eterno. I data center, essendo strutture fisiche, sono vulnerabili a una serie di minacce che possono portare alla perdita parziale o totale dei dati. Un esperto di sicurezza sottolinea come questi rischi siano reali e concreti, invitando a una maggiore cautela.
I data center devono prepararsi a minacce fisiche come incendi, blackout e disastri naturali che possono causare perdita dati.
– Esperto sicurezza data center, Checkpoint, 2022
Un terremoto, un’inondazione o un semplice guasto elettrico prolungato possono mettere fuori uso un intero impianto, e sebbene la replicazione geografica mitighi il rischio, non lo elimina del tutto, specialmente in caso di disastri su larga scala.
Oltre alle minacce esterne, esiste un processo di degrado intrinseco. I supporti di memorizzazione fisica, come hard disk e SSD, hanno una vita limitata e i dati possono corrompersi nel tempo a causa di un fenomeno noto come “bit rot” o degrado dei dati. Anche se i grandi provider utilizzano tecniche sofisticate come il “data scrubbing” per controllare e riparare costantemente i dati, il rischio zero non esiste. Uno specialista IT in gestione dei dati lo conferma, evidenziando la necessità di una manutenzione continua per preservare l’integrità delle informazioni nel lungo periodo.
Infine, c’è un rischio di natura commerciale. I servizi cloud sono gestiti da aziende che possono fallire, essere acquisite o decidere di chiudere un servizio. Sebbene di solito venga dato un preavviso per permettere agli utenti di scaricare i propri dati, cosa succede a chi non legge l’avviso in tempo? I dati vengono cancellati, e con essi ricordi, documenti e lavori importanti. Affidare l’intero proprio archivio digitale a un unico provider, senza una copia di backup personale su un disco rigido esterno o un altro servizio, equivale a mettere tutte le proprie uova in un solo paniere. La strategia più saggia rimane la diversificazione: utilizzare il cloud per la sua comodità e accessibilità, ma mantenere sempre una copia di sicurezza locale dei dati più preziosi.
Scegliere la nuvola giusta per te: Google Drive, iCloud o Dropbox? Un confronto basato su ciò che conta davvero
La scelta di un servizio cloud non dovrebbe basarsi solo sullo spazio di archiviazione gratuito o sul costo mensile. Ora che conosciamo l’importanza della geografia, della sicurezza e della sostenibilità, possiamo analizzare i principali provider con occhi diversi. Google Drive, iCloud (Apple) e Dropbox, pur offrendo servizi simili, si basano su infrastrutture fisiche e filosofie aziendali molto diverse. Comprendere queste differenze è fondamentale per fare una scelta informata.
Una delle distinzioni principali riguarda la proprietà dei data center. Google e Apple progettano, costruiscono e gestiscono i propri data center, il che conferisce loro un controllo totale sulla sicurezza fisica e sull’efficienza energetica. Dropbox, al contrario, per lungo tempo si è appoggiata ad Amazon Web Services e ora affitta principalmente spazi in data center di terze parti, il che significa un controllo meno diretto sull’infrastruttura fisica. Questo si riflette anche nelle misure di sicurezza: i data center di Google e Apple sono noti per essere fortezze impenetrabili, con guardie armate, scanner biometrici e gabbie di Faraday, mentre Dropbox si affida agli standard, seppur elevati, dei suoi partner.
Anche l’impegno per la sostenibilità è un fattore differenziante. Google e Apple sono tra i maggiori investitori privati in energie rinnovabili al mondo e si sono impegnati a far funzionare i loro data center con energia pulita. Dropbox sta compiendo progressi in questa direzione, ma parte da una posizione diversa a causa del suo modello infrastrutturale. Il seguente quadro riassume le differenze chiave basate su ciò che abbiamo imparato.
Provider | Proprietà Data Center | Sicurezza Fisica | Uso Energia Rinnovabile | Replicazione Geografica |
---|---|---|---|---|
Google Drive | Data center propri in diverse regioni | Guardie armate, scanner biometrici | Elevata percentuale energia rinnovabile | Copia in più continenti |
iCloud | Data center Apple dedicati | Accesso controllato, gabbie Faraday | Forte impegno energia verde | Replica in USA e Europa |
Dropbox | Affitta spazi in data center terzi | Misure standard con sicurezza fisica | Iniziative verso energie pulite | Replica meno estesa |
Infine, la scelta dipende anche dall’ecosistema in cui si opera. iCloud è profondamente integrato nei dispositivi Apple, rendendolo una scelta quasi obbligata per gli utenti di iPhone e Mac. Google Drive eccelle nella collaborazione e nell’integrazione con un’ampia gamma di servizi online, mentre Dropbox è spesso apprezzato per la sua semplicità e affidabilità nella sincronizzazione dei file. La decisione finale dovrebbe bilanciare la praticità d’uso con la consapevolezza di dove e come i nostri dati vengono fisicamente custoditi e protetti.
“Tanto io non sono in Europa”: perché il GDPR riguarda anche te e perché rispettarlo ti farà apparire più professionale
Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) dell’Unione Europea è spesso percepito come una normativa complessa che riguarda solo le aziende europee. Tuttavia, la sua portata è extraterritoriale: si applica a qualsiasi organizzazione, in qualsiasi parte del mondo, che tratti dati personali di cittadini dell’UE. Se hai un sito web che vende prodotti o servizi e un cliente dalla Francia o dalla Germania effettua un acquisto, sei tenuto a rispettare il GDPR. Questo vale anche se la tua infrastruttura fisica, i tuoi server e i tuoi data center si trovano negli Stati Uniti, in Asia o altrove.
Ignorare questo principio non è solo rischioso dal punto di vista legale, con sanzioni che possono essere molto pesanti, ma è anche un’occasione persa dal punto di vista della fiducia. In un’era di crescente preoccupazione per la privacy, dimostrare di aderire a uno degli standard più elevati al mondo è un potente segnale di professionalità e affidabilità. Comunica ai tuoi clienti che prendi sul serio la protezione dei loro dati, indipendentemente da dove si trovino. Questa trasparenza può diventare un vantaggio competitivo significativo.
Dal punto di vista della materialità digitale, il GDPR introduce un concetto fondamentale: il controllo sulla localizzazione fisica dei dati. Il regolamento impone regole severe sul trasferimento di dati personali al di fuori dell’UE. Ogni volta che i dati di un cittadino europeo vengono spostati da un data center a un altro, ad esempio da Dublino a un centro di backup in Virginia, avviene uno spostamento fisico che deve essere giustificato e protetto da adeguate garanzie legali. Questo costringe le aziende a mappare con precisione dove risiedono i dati e a scegliere provider cloud che offrano data center situati all’interno dell’Unione Europea per semplificare la conformità. Rispettare il GDPR, quindi, non è solo una questione burocratica, ma una scelta strategica che riguarda la progettazione stessa dell’infrastruttura fisica e digitale.
La caccia agli spifferi: come fare un check-up energetico della tua casa con meno di 50 euro
In ambito domestico, siamo sempre più attenti a identificare e riparare gli “spifferi” energetici: una finestra che non chiude bene, un elettrodomestico obsoleto, una lampadina poco efficiente. Un semplice check-up può rivelare dove sprechiamo energia e denaro. Questo stesso approccio, questa mentalità da “cacciatore di spifferi”, può e deve essere applicato alla nostra vita digitale. I nostri “spifferi digitali” non disperdono calore, ma consumano inutilmente risorse energetiche nei data center di tutto il mondo, contribuendo all’impronta ecologica di Internet.
Quali sono questi spifferi? Pensiamo agli abbonamenti a servizi cloud che non usiamo più ma che continuiamo a pagare, mantenendo attivi server per conservare dati che non ci servono. O ai gigabyte di email inutili, con allegati pesanti, che affollano le nostre caselle di posta: ogni singolo messaggio è archiviato su più server, consumando energia 24/7. Lo streaming video in altissima definizione su un piccolo schermo di smartphone, quando una qualità inferiore sarebbe indistinguibile, è un altro classico esempio di spreco energetico. Ognuna di queste abitudini, apparentemente insignificante, moltiplicata per miliardi di utenti, crea una domanda energetica colossale.
Applicare un “check-up energetico digitale” significa adottare una forma di igiene digitale. Si tratta di fare un inventario periodico dei nostri servizi online, cancellando gli account inattivi. Significa dedicare un’ora ogni tanto a pulire il proprio spazio di archiviazione cloud e la propria casella email, eliminando file e messaggi obsoleti. Comporta anche la scelta consapevole di impostazioni a minor consumo energetico, come la riproduzione automatica dei video disattivata o la preferenza per il download di musica invece dello streaming continuo. Proprio come sigillare uno spiffero in casa, queste piccole azioni riducono il consumo energetico alla fonte, rendendo il nostro impatto digitale più leggero e sostenibile, senza costi aggiuntivi ma con un grande beneficio collettivo.
Da ricordare
- Il “cloud” è un’infrastruttura fisica di data center e cavi sottomarini con un enorme impatto energetico, idrico e geopolitico.
- La posizione geografica dei dati determina le leggi sulla privacy a cui sono soggetti, rendendo la scelta del provider una decisione anche politica.
- Nessun servizio cloud è eterno o infallibile; è fondamentale mantenere backup personali dei dati più importanti per proteggersi da guasti fisici o fallimenti aziendali.
GDPR senza panico: come trasformare l’obbligo sulla privacy in un’opportunità per guadagnare la fiducia dei clienti
Invece di considerare il GDPR come un semplice onere burocratico, è più produttivo vederlo come un’opportunità strategica. Adottare i suoi principi non solo protegge da sanzioni, ma costruisce l’asset più prezioso per qualsiasi attività online: la fiducia del cliente. In un mondo digitale in cui gli utenti sono sempre più preoccupati di come vengono utilizzati i loro dati, la trasparenza non è più un’opzione, ma una necessità. Un’azienda che comunica chiaramente dove sono archiviati i dati, per quanto tempo e per quali scopi, si posiziona come un partner affidabile.
Come sottolinea un consulente di privacy e sicurezza, questo legame tra trasparenza e fiducia è diretto e misurabile. I clienti sono più propensi a interagire e acquistare da aziende che percepiscono come oneste riguardo alla gestione dei loro dati personali.
La trasparenza sull’ubicazione fisica dei dati aumenta la fiducia del cliente.
– Consulente Privacy e Sicurezza, Report su Cybersecurity, 2025
Questo significa che una politica sulla privacy chiara e una mappa della localizzazione dei dati non sono solo documenti legali, ma veri e propri strumenti di marketing.
Implementare una strategia GDPR-compliant significa pensare alla privacy fin dalla progettazione (“privacy by design”). Ciò implica la scelta di partner tecnologici e provider di cloud che garantiscano il rispetto delle normative, preferendo quelli con data center localizzati in Europa. Significa inoltre mappare con precisione il flusso fisico dei dati per essere sempre in grado di rispondere alle richieste degli utenti, come il diritto all’oblio, che implica una cancellazione fisica e definitiva dei dati dai server e dai backup.
Il tuo piano d’azione per la mappatura dei dati fisici
- Punti di contatto: Elenca tutti i canali e i software dove vengono raccolti i dati dei clienti (sito web, CRM, analytics, ecc.).
- Collecte: Inventaria i provider di servizi per ogni punto di contatto (es. hosting, provider email, servizio cloud) e identifica la posizione fisica dei loro data center.
- Coerenza: Confronta la posizione dei data center con i requisiti del GDPR. Verifica se i trasferimenti di dati extra-UE sono coperti da garanzie adeguate.
- Trasparenza: Aggiorna la tua informativa sulla privacy indicando chiaramente dove vengono archiviati i dati e con quali partner tecnologici.
- Piano d’integrazione: Se individui provider non conformi, pianifica una migrazione verso alternative che offrano data center all’interno dell’UE.
In definitiva, il GDPR spinge a una maggiore consapevolezza della materialità digitale. Trasforma un obbligo legale in un invito a progettare infrastrutture più sicure, trasparenti e, in ultima analisi, più rispettose degli utenti che le alimentano con i propri dati.
Ora che il lato fisico, energetico e politico di Internet è più chiaro, il passo successivo consiste nell’applicare questa nuova consapevolezza per fare scelte più informate e sicure nel proprio quotidiano digitale.